Motion design

Non è sempre necessario che accada qualcosa. A volte basta cambiare prospettiva per dischiudere una nuova visione delle cose. Ma sappiamo che proprio la cosiddetta “prospettiva” è in qualche modo una pura illusione ottica, benché fondata sulle presunte certezze matematiche di una scienza della rappresentazione. La prospettiva è infatti una visione artificiale ottenuta immobilizzando l’occhio dell’osservatore, costringendolo con ingegnosi espedienti a scorgere una profondità reale dove c’e solo, per così dire, una tavoletta dipinta, proprio come nella celebre dimostrazione pubblica brunelleschiana evocata nei libri di storia dell’arte.

Per poter apparire così il “mondo” deve prima essere trasposto in figura con appositi strumenti tecnologici che si suppongono in grado di mostrarcelo nella sua interezza, come fosse appunto divenuto un “globo” totalmente illuminato e dunque privo di parti nascoste. Ma siamo sicuri che ciò che oggi si mostra in Google Earth sia proprio il mondo e non una semplice mappa terrestre - per quanto dettagliata - tra le tante possibili? L’arte del ‘900 lungi dall’aver messo da parte del tutto la rappresentazione prospettica ne ha persino esteso le potenzialità mimetiche con l’inclusione del movimento tra i fattori espressivi fondamentali grazie soprattutto al cinema e alle tecniche di animazione.
Così, se la prospettiva può essere rifiutata o guardata da alcuni artisti con sospetto, in quanto ritenuta una mera “illusione ottica”, agli inizi del secolo scorso con il Futurismo comincia una nuova fase che oggi potremmo in modo analogo liquidare con una battuta parlando di un’altrettanto persistente “illusione cinetica”: il cinema ha potuto indurre negli spettatori l’illusione del movimento, com’è noto, con una serie di fotogrammi “statici” (o con molti disegni realizzati a mano nel caso di un film di animazione). Per quanto ci si possa fidare dei nostri sensi - d’altronde non c’è conoscenza possibile senza questo preliminare atto di fede - bisogna constatare che questi talora risultano ingannevoli anche nella visione “dal vivo” o quando siamo alle prese con oggetti tutt’altro che statici.
Già Aristotele notò il curioso “effetto postumo” che può prodursi nell’osservare il rapido scorrere dell’acqua in una cascata. Passando bruscamente dal dettaglio tecnico al contesto culturale, potremmo chiederci: cosa accade di rilevante nelle tendenze del Graphic Design contemporaneo? L’aspetto più appariscente è che l’estetica del movimento ha coinvolto da tempo anche la dimensione per definizione “statica” della stampa tipografica: in questi anni la grafica si è spesso trasformata in tipografia cinetica: sia in termini del tutto espliciti (nei nuovi media), sia in forma puramente allegorica e quasi “neofuturista” (nei media tradizionali, dove anche gli artefatti grafici destinati alla stampa tendono spesso a mimare il dinamismo tipico dei prodotti multimediali con l’intento palese di suscitare emozioni più che di sollecitare le facoltà cognitive del “lettore”).
Siamo verosimilmente alle prese con un ennesimo International Style privo di frontiere culturali o geografiche, dove ad esempio le grandi reti televisive mondiali finiscono tutte per adottare il medesimo linguaggio videografico. D’altronde, i telegiornali della CNN o di Al Jazeera usano lo stesso medium “espressivo”, per cui è comprensibile che sul fronte della comunicazione non verbale finiscano per inviarci messaggi molto simili. Si usano schemi collaudati di audiovisione rapida che privilegiano le modalità coreografiche in relazione al ritmo sonoro rispetto alle logiche narrative di matrice letteraria. Si predilige il frammento, la piccola “soglia paratestuale” rispetto ai grandi testi articolati e compiuti. Strategie dis-narrative, o forse metanarrative, dunque, proprio come lo sono quelle indagate nell’articolo di Martina De Fabrizio dedicato al cinema.
In ogni caso, sembra quasi che tutto ciò che intendiamo comunicare bisogna oggi esprimerlo con una serie di lampi abbaglianti e suggestivi più che con pacati argomenti logici. Si può persino raccontare una storia, magari ricorrendo a sequenze in apparenza caotiche di bagliori e rumori, purché nei rigidi limiti temporali di uno spot o di una sigla TV. Per convincersi della potenza - ma anche del grado di omologazione - di questi linguaggi veloci si possono visionare i più recenti “showreels” di Motion Graphics ( http://www.motionographer.com/ ). Così può capitare di assistere da spettatori distratti alla scena in cui il pianeta Terra esplode e si polverizza in 18 secondi. Evento speciale per un istante qualunque. Keyframe inserito dall’animatore in un punto preciso della linea del tempo. Sorta di assuefazione paradossale all'inattendibile: in realtà - forse anche a causa di questo agevole ricorso a repertori di effetti prefabbricati - non accade proprio nulla, se è vero che merita propriamente il nome di evento solo ciò che oltrepassa le nostre ordinarie capacità di previsione.


Tratto da La chiave dell'istante di Enrico Cocuccioni

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